E se fosse l’ora dell’algoritmo giuridico ?

L’idea di utilizzare, anche in ambito giuridico, formule algoritmizzabili e codificabili in un linguaggio interpretabile da una “macchina” è un pensiero antico che trova oggi nuovo vigore e slancio. 

La necessità di adattare la tradizionale produzione normativa alle attuali esigenze di regolamentazione e di controllo rappresenta, infatti, una delle priorità dei legislatori di tutto il mondo[1].

La natura e le modalità operative dei rapporti che nascono nell’ambiente “salmastro” che costituisce l’habitat ibrido in cui sta operando l’uomo non può essere abbandonato alla primordiale legge “di natura”, dove il più forte detta le “algoregole[2] che gli altri, i più deboli, osservano e subiscono.

Si tratta di un fenomeno che è entrato nella quotidianità dei rapporti sociali senza bussare delicatamente alla porta chiedendo “permesso”, ma sfondando ogni barriera posta davanti al suo cammino, “contaminando” tutti e tutto, rendendosi indispensabile e sempre più invisibile[3].

Pensare” all’algoritmo come lo strumento idoneo a “perimetrare” una “norma” è un percorso ineludibile per una società, onlife, completamente immersa nell’infosfera, in cui i concetti di spazio e tempo risultano relativizzati e finalizzati alle nuove esigenze economiche e “sociali”. 

Nel saggio The Ethical Algorithm, Michael Kearns e Aaron Roth, infatti, affermano: “Crediamo che per ridurre i comportamenti scorretti siano necessari algoritmi migliori, che possano aiutare gli enti regolari, i gruppi di attivisti e altre organizzazioni umane a monitorare e misurare gli effetti non desiderati e non desiderabili del machine learning [4].

Nella ricerca di una soluzione al pregiudizio[5] dell’algoritmo si trova una costante: occorrono algoritmi più efficienti che operino con una “supervisione” umana.

La creatura ha un costante bisogno del suo creatore dal quale non può essere completamente separata. Questa partecipazione “attiva” rappresenta la migliore garanzia per la sopravvivenza del fattore umano, nell’automatismo di una decisione sempre più determinata (consapevolmente o meno) dal fattore tecnologico (in generale) e da agenti informativi artificiali (in particolare). 


[1] «The brusque pace of technological progress in the digital economy has unfortunately not been matched by policy at the global level that could regulate its development in an effective manner and foreshadow potential negative impacts. One reason for this discrepancy is the breakneck speed of technological transformations that have led to an overhaul the existing digital environment during the last two decades.» (tratto da: Gehl Sampath, Padmashree, Regulating the Digital Economy: Are We Heading for a Win-Win or a Lose Lose?(December 18, 2018), available at SSRN.

[2] A. Celotto, Come regolare gli algoritmi. Il difficile bilanciamento fra scienza, etica e diritto, in Analisi Giuridica dell’Economia, Studi e discussioni sul diritto dell’impresa,1/2019, Il Mulino, 47-60; A. Celotto, Verso l’algoretica. Quali regole per le forme di intelligenza artificiale ?

[3] L. Bolognini, Follia artificiale, Rubbettino Editore, 2018 così descrive la realtà contemporanea: «..i Bit stanno impadronendosi di tutto delle nostre cose e dei nostri gesti, come il ghiaccio nella favola di Frozen».

[4]Michael Kearns e Aaron Roth, The Ethical Algorithm: “The Science of Socially Aware Algorithm Design, Oxford University Press (4 ottobre 2019): «Understanding and improving the science behind the algorithms that run our lives is rapidly becoming one of the most pressing issues of this century».

[5] P. Zuddas, Pregiudizi digitali e principio di precauzione, Fasc. 2, in Giurcost.it, 2020.